Il mio viaggio fino a qui

Come diceva Steve Jobs i puntini della vita puoi unirli solo in retrospettiva, guardando al passato. Perché nel presente ti succedono cose alle quali rispondi a volte seguendo l’istinto, altre affinando l’intuito oppure semplicemente reagendo secondo la versione di me che ho creato nella testa. Quell’identità in cui mi identifico e con cui mi presento al mondo, celando tutti quegli aspetti che non rientrano nel personaggio con cui voglio farmi conoscere. 

Bene quello che crediamo di essere, lo scopo che ci siamo prefissi, o il ruolo che dovremmo ricoprire nella società sono spesso frutto di linguaggi inconsci e che abbiamo fagocitato senza rendercene conto, diventando tutt’uno con un corpo estraneo. Poi ad un certo punto una depressione, un lutto o un‘esperienza mistica, può rivelarti che era tutto un castello di carte e che il buio in cui ti trovi è il risultato di anni in cui sei sfuggito all’idea di abitarlo. Le canne, la coca, il sesso o l’alcol e una combinazione dei precedenti, può illuderti per un pò di aver trovato il “giusto equilibrio”, ma è l’idea stessa di aver posizionato il baricentro fuori da me ad aver innescato un silenzioso incendio. Me ne sono accorto solo anni dopo sentendo odore di bruciato, che però veniva da dentro. Così mi sono trovato a sentire l’esigenza di trovare delle vie d’uscita. Dei modi per stare meglio. Nei miei tanti tentativi di esplorazione mi sono spinto abbastanza a largo da dover imparare a costruirmi una zattera per non affogare nella tempesta in cui può trasformarsi un viaggio psichedelico. Ce ne sono tanti e di varie intensità, ma la cosa che più di tutte ho imparato in questi quasi dieci anni di viaggio, è che fino a che ho pensato fosse la pianta, il maestro o il viaggio  a curarmi, ho vissuto anche esperienze meravigliose ma ogni volta che poi facevo ritorno a casa, finivo per non applicare nulla di ciò che avevo “imparato”. Continuavo a essere sordo e cieco alle mie emozioni e al mio stesso corpo di cui ignoravo il linguaggio. La via d’uscita era quindi verso dentro e se potessi rivolgermi oggi al Niko ventenne come fosse mio fratello minore gli direi, non preoccuparti andrà tutto bene, ma sappi che la cosa che più ha funzionato è stato andare dallo psicologo e nei momenti più bui, accettare il supporto farmacologico. Se ripenso ai giorni più neri in cui mi sentivo in trappola, dando per scontato che tutta la mia vita futura sarebbe stata una merda, non c’è stato nulla che mi ha aiutato nel lungo periodo più del farmaco che mi ha prescritto Paolo, lo psichiatra con cui oggi collaboro.

Lavorare su se stessi se si sta male, diventa un obbligo e una condanna, ho imparato a mie spese che non esiste pianta o maestro che possa sostituirsi all’ impegno quotidiano. Gli operatori del settore la chiamano integrazione, ovvero tutto ciò che fai dopo aver vissuto un’esperienza per renderla effettivamente trasformativa. Nelle mie sessioni di breathwork, esiste un culmine di stato molto profondo in cui la persona sta per un pò e poi esiste un atterraggio al cui termine la persona apre gli occhi ed è in grado di alzarsi tranquillamente. Questo però è solo metà del lavoro, in termini di efficacia a lungo termine e quindi liberazione e riscrittura di alcune abitudini comportamentali, occorre che il “solco” nuovo appena tracciato, vada scavato un giorno alla volta in modo da “disimparare” la via precedente e tracciare un nuovo percorso neuronale. Alcuni dicono che ci vogliano 21 giorni per farlo e sinceramente io non lo sò, quello che ho osservato prima in me e poi nelle persone che seguo, è che il vero cambiamento è  nelle nostre mani, nei pensieri e quindi nelle azioni che portiamo avanti.

Tutto ciò che non viene alimentato si spegne.

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L’uomo della TV